La prima azione post aggressione.
Cos’è la prima cosa da fare dopo un evento traumatico?
Nessuno ti ha mai spiegato cos’e la “Manovra di Valsalva”. E’ la prima tecnica da eseguire dopo un aggressione o un evento traumatico violento. Dobbiamo subito diminuire i battiti cardiaci. In questo modo recuperiamo più facilmente la nostra condizione ottimale.
La manovra di Valsalva prevede un’inspirazione profonda seguita da un’espirazione della durata di 10 secondi circa, con la bocca chiusa. Tale operazione è utile per diminuire la frequenza cardiaca in caso di tachicardia post aggressione.
L’utilità della manovra investe molti ambiti, sia clinici che della vita quotidiana.
- attivazione del sistema parasimpatico,
- abbassamento della frequenza cardiaca,
- abbassamento della pressione arteriosa.
Le fasi della manovra di Valsalva sono quattro e includono:
- Inizio della tensione − Essa prevede l’espirazione a bocca chiusa; questo fa aumentare la pressione intratoracica e anche la pressione arteriosa, per via della compressione dell’aorta.
- Tensione − Si assiste alla diminuzione della pressione arteriosa e del ritorno venoso mentre a livello intratoracico permane una pressione positiva.
- Rilasciamento − Durante le fasi di rilasciamento e recupero, la rapida riduzione della pressione fa attivare una serie di meccanismi compensatori a livello fisiologico. Modifica il volume del sangue nel sistema vascolare dei polmoni e causa una brusca riduzione della pressione arteriosa.
- Recupero − In questa fase, infine, l’aumento della portata cardiaca, la riduzione della frequenza cardiaca e la vasocostrizione periferica provocano l’incremento della pressione arteriosa.
E’ utile per rallentare i battiti del cuore, la manovra infatti aumenta notevolmente la pressione all’interno dei seni nasali e in particolare nella cavità toracica. L’elevata pressione toracica stimola tra l’altro il nervo vago. La manovra è semplice ma va eseguita nel modo corretto, per evitare spiacevoli situazioni come il sopraggiungere di un svenimento.
Schematicamente possiamo dire che si esegue nel modo seguente:
- inspira profondamente (un’inspirazione profonda)
- tappa il naso con le dita e compi un’espirazione forzata a bocca chiusa (per circa 10 secondi)
- contrai i muscoli dell’addome: in tal modo si aumenta la pressione all’interno del petto e della pancia
- un’espirazione forzata a glottide chiusa.
La contrazione dei muscoli addominali e dei muscoli respiratori trasforma l’addome in una vera e propria camera d’aria gonfiabile, racchiusa entro pareti resistenti e rigide. Così facendo stimoleremo il nervo vago, il quale controlla il battito cardiaco e la reazione del tuo corpo a una situazione di stress acuto; attivandolo, quindi, ti aiuta a rallentare la frequenza cardiaca.
Curiosità e rischi:
Si compie spontaneamente la manovra di Valsalva, quindi senza accorgersene, sia durante l’atto delle defecazione che nella fase precedente un colpo di tosse, così come quando si solleva un carico pesante.
La manovra non andrebbe compiuta se non si è certi di saperla eseguire nel modo corretto. Affidatevi sempre ad una persona esperta, per ricevere le giuste istruzioni.
Ti suggeriamo altri modi per rallentare il battito cardiaco rapidamente:
1. Respira lentamente inspirando attraverso il naso ed espirando dalla bocca. È stato scientificamente provato che gli esercizi di respirazione lenta e profonda permettono di rallentare e controllare la frequenza cardiaca. Quindi, quando senti il tuo cuore battere all’impazzata, inspira per 4 secondi, trattieni il respiro per 7 secondi ed espira contando 8 secondi.
2. Bagnati il viso con l’acqua fredda. Si tratta di un altro metodo per stimolare il nervo vago e aiuta a rallentare il battito cardiaco. Continua semplicemente a sciacquarti il viso con dell’acqua molto fredda finché non ti senti più calmo o metti una borsa del ghiaccio o un panno bagnato sulla fronte.
Dobbiamo agire per evitare traumi.
Attenzione si può cambiare dopo un trauma.
Quando si viene coinvolti in un evento al di fuori della consueta esperienza umana (per esempio una violenza sessuale, un’aggressione, un terremoto, un grave incidente stradale), quasi tutti sperimentiamo delle reazioni strane. Le conseguenze al trauma sono diverse da una persona ad un’altra. E’ naturale che un evento particolarmente stressante provochi reazioni particolari anche a lungo termine.
Cambiamenti nel comportamento della persona che ha subito il trauma non sono un segnale di debolezza o di malattia mentale, ed è importante essere consapevoli che questi cambiamenti sono normali.
Il sentimento di essere stati danneggiati in modo irreparabile può esistere anche se non vi sono state conseguenze fisiche rilevanti.
Non sempre le vittime sviluppano un disturbo post traumatico (PTSD). Il disturbo post traumatico da stress è una particolare condizione psichica che può insorgere sia nei bambini che negli adulti dopo un avvenimento traumatico.
Ogni soggetto reagisce differentemente.
A seconda della particolarità dell’evento, dell’età della vittima, della sua struttura di personalità e di molte altre variabili, il trauma può creare conseguenze può o meno gravi. La durata delle conseguenze al trauma è diversa per ogni persona. Per alcuni la situazione si normalizza dopo poche settimane, per altri ci vuole più tempo.
Se le conseguenze del trauma sono troppo intense, o se durano per molto tempo, è necessario il supporto di uno psicologo specializzato nei disturbi post traumatici. Le conseguenze del trauma possono essere molto serie e dolorose.
Esistono diversi tipi di manifestazioni sintomatiche connesse con le esperienze traumatiche.
Sintomi di reviviscenza del trauma. Ciò significa che la vittima potrebbe avere pensieri relativi al trauma che la riportano a quel momento, degli incubi ricorrenti del trauma subito o dei flashback che la riportano a quella situazione come se la stesse rivivendo; potrebbe iniziare ad agitarsi e stare male in qualsiasi situazione la riporti al momento del trauma.
Molto probabilmente la vittima presenterà anche sintomi di evitamento. Ciò significa che compirà ingenti sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma; cercherà anche di evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma.
Inoltre è probabile che presenti una riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività prima del trauma ritenute significative, o che manifesterà sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; potrebbe anche presentare affettività ridotta e potrebbe anche manifestare sentimenti di diminuzione delle prospettive future.
Infine potrebbe presentare sintomi di aumentato arousal, cioè vivrebbe stabilmente con un livello di ansia molto più intenso rispetto al periodo precedente al trauma. Ciò potrebbe comportare: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; irritabilità o scoppi di collera apparentemente ingiustificati; difficoltà a concentrarsi; ipervigilanza; esagerate risposte di allarme in situazioni vissute precedentemente come normali o neutre. Dalla provocazione all’aggressione. – Difesa Sicura Krav Maga (difesa-sicura.it)
Se i sintomi durano dai due giorni successivi al trauma alle successive quattro settimane, si parla di disturbo acuto da stress; se i sintomi perdurano, si parla di disturbo post traumatico da stress. È necessario sapere che i sintomi possono avere un esordio tardivo, cioè possono non manifestarsi in un periodo direttamente successivo rispetto all’esposizione all’evento traumatico.
Una vittima ha bisogno di aiuto psicologico immediato, a partire dai familiari o chi le sta vicino.
È possibile che, sull’onda dell’emotività il marito della vittima le dica: “Quante volte ti ho detto di non uscire da sola?! Non potevi chiamarmi?! Ti sarei venuto a prendere!!!”. Un’accoglienza del genere potrebbe avere un effetto deleterio, perché consiste in una traumatizzazione secondaria. La vittima non si sente capita, non viene ascoltata, anzi, viene persino rimproverata. Nei casi peggiori la traumatizzazione secondaria consiste nel dire chiaramente alla vittima: “te la sei cercata: è colpa tua”. Una traumatizzazione secondaria è pericolosissima anche perché mina nella vittima le aspettative di ricevere aiuto. “Se chi mi sta intorno non mi ascolta, chi mai potrebbe farlo?!” o ancora “Forse è vero, forse me la sono cercata. Meglio che stia zitta e non dica niente a nessuno”. Se la vittima inizia ad avere pensieri del genere, accompagnati da sentimenti di sfiducia, molto difficilmente chiederà aiuto. E il suo quadro psicologico potrebbe peggiorare.
Il primo aiuto pertanto è necessario che giunga dalla comprensione e dall’empatia dei famigliari.
È importante che i famigliari per primi aiutino le vittime accogliendole, facendo in modo che non si sentano giudicate ed aiutandole a capire che non hanno colpa per quello che è successo loro.
Dopo la famiglia, il primo luogo dove in generale è importante chiedere aiuto, specialmente in caso di ferite e/o contusioni, è il Pronto Soccorso. È fondamentale che il personale medico e infermieristico sia sensibile ed empatico nei confronti della vittima, in modo da evitare ulteriori traumatizzazioni secondarie. È necessario che, chiedendole di raccontare cosa è successo, i clinici siano sensibili nel lasciarle il tempo di cui ha bisogno e che le rivolgano le domande in modo tale da non turbarla ulteriormente. È importante, infine, che il personale sanitario tenga conto dell’esperienza traumatica anche nel momento in cui sottopone la paziente ad eventuali esami clinici. Si pensi per esempio ad una vittima di violenza sessuale. Un esame ginecologico di per sé potrebbe rievocare nella donna ricordi dell’episodio traumatico. È necessario pertanto che il medico ne tenga conto ed aiuti la persona, spiegandole quali siano le procedure e a cosa servano, agendo con estremo garbo e rispetto.
La vittima deve essere trattata con il massimo rispetto.
Qualora la vittimizzazione non consistesse in un’aggressione fisica, ma in minacce verbali, o in comportamenti di stalking, la vittima potrebbe presentare comunque sintomi come quelli elencati prima.
In tutti i casi è necessario che la vittima CHIEDA AIUTO PSICOLOGICO. Ciò è possibile per esempio rivolgendosi presso un centro antiviolenza, o presso un Centro di Igiene Mentale. Presso le asl, i consultori familiari, i centri psicosociali (CPS), le persone ferite da traumi possono trovare esperti psicologi, psichiatri e psicoterapeuti che potranno aiutarle a rielaborare quanto accaduto, attenuando gradualmente i sintomi per poi estinguerli in modo da riappropriarsi finalmente della propria vita. Qualunque percorso psicoterapeutico la vittima intraprenda, la terapia può dirsi conclusa nel momento in cui la sua mente non è più invasa da intrusioni di ricordi e sensazioni spiacevoli relative al trauma e non sente più l’esigenza di usare strategie comportamentali che risultano invalidanti in diverse aree della sua vita. Al termine della terapia, la persona sarà in grado di affrontare il presente senza doversi difendere dal passato avvertito come minaccioso.
Incontro “mente e corpo” nella difesa personale. – Difesa Sicura Krav Maga (difesa-sicura.it)